mercoledì 27 luglio 2011

Consiglio Comunale

A V V I S O
nella Sede Municipale
venerdì, 29 luglio 2011, alle ore 20.30,
è convocato in sessione straordinaria
IL CONSIGLIO COMUNALE
per trattare in seduta pubblica, il seguente
ORDINE DEL GIORNO
1. Comunicazioni del Sindaco;
2. Approvazione verbali della seduta precedente;
3. Esame osservazioni e approvazione definitiva Variante al Piano di Governo del Territorio (Piano delle Regole e Piano dei Servizi);
4. Adozione Variante P.I.I. “Vaprio Sud” e modifica agli atti costituenti il Piano di Governo del Territorio (Piano delle Regole e Piano dei Servizi).
Vaprio d’Adda, 21 luglio 2011
Il Sindaco
(Roberto Orlandi

mercoledì 20 luglio 2011

Genova 2001 - 2011 - Comunicato ANPI


L’ANPI di Genova ricorda il decimo anniversario dei fatti accaduti nella nostra città in occasione del G8 del 2001.

E’ necessario non dimenticare quei giorni che sono stati una ferita all’identità democratica della nostra comunità e a quella nazionale.

Saremo insieme alla CGIL, all’ARCI e ad altre associazioni per ricordare la difesa dei valori della Costituzione calpestate. In quei giorni furono sospese le libertà previste e garantite dalla nostra Carta costituzionale e le violenze che ci sono state hanno messo in seria discussione il rapporto con le forze dell’Ordine espressione dello Stato, che avrebbero dovuto garantire la libertà e l’incolumità dei manifestanti.

Non si è colpito invece chi era presente alle manifestazioni, non per sostenere la necessità della globalizzazione dei diritti ed il governo democratico del nostro pianeta, ma per praticare la violenza, così è stato per i black bloc. Anche da parte di alcuni rappresentanti delle forze dell’Ordine, in varie occasioni in quei giorni neri per la democrazia italiana si è messa in atto, come ha detto un testimone, una “macelleria messicana”: questo è accaduto alla scuola Diaz o nella caserma di Bolzaneto, il tutto preceduto dalla morte di un ragazzo di 23anni: Carlo Giuliani.

Questo dato è reso ancor più drammatico dall’effetto che ha avuto non solo nei corpi di chi ha subito violenza fisica e psicologica, per le quali sarebbe stato giusto che chi lo Stato rappresenta chiedesse scusa alle vittime degli atti di violenza commessi su persone inermi.

I fatti del G8 del 2001 si portano dietro una grave colpa nei confronti di quella nuova generazione di giovani che ha vissuto così drammaticamente quell’evento e che si affacciava alla vita e all’impegno, usando una libertà democratica, quella di manifestare liberamente le proprie opinioni.

In quei giorni chi ha praticato la violenza ha la responsabilità di aver creato una cesura democratica tra quella generazione di ragazzi, che iniziava proprio allora il suo impegno civile nella nostra società e l’immagine che quei giovani hanno avuto a causa delle reazioni violente e immotivate di chi sarebbe dovuto essere garante della loro possibilità di manifestare per chiedere un mondo più giusto.

E’ una ferita che non è facile rimarginare, visto che ci sono segnali contraddittori se non contrari, considerato che una serie di responsabili di quei gesti non solo sono ai margini di certe strutture, ma, a quanto pare, hanno avuto avanzamenti di grado e riconoscimenti nelle strutture stesse.

Questo ci rende ancor più consapevoli della necessità di partire dal valore della nostra Costituzione, nata della Resistenza.

Solo non vedendola come un’espressione del passato, ma come uno straordinario strumento di lotta programmatica per il futuro, si potrà uscire dalla crisi civile e sociale, non solo economica, che stiamo attraversando, con più democrazia, con più partecipazione, con più giustizia. Con la consapevolezza che spira un nuovo vento di cambiamento, che rende attuale quanto espresso dalle donne e dagli uomini già nel 2001: un nuovo mondo è possibile per avere speranza nel futuro.

venerdì 15 luglio 2011

Luigi XVI è seduto a Palazzo Chigi


Peter Gomez (il Fatto quotidiano 15.06.2011)

Il 19 febbraio del 1781 il ministro delle finanze francese, l’economista di origini svizzere Jacques Necker, rese noti i conti dello Stato. I sudditi di re Luigi XVI scoprirono così che il regno ogni anno spendeva 629 milioni e incassava dalle tasse – pagate quasi esclusivamente dal popolo e dalla borghesia – 503 milioni. Il debito pubblico aveva per questo raggiunto i 318 milioni, mentre la corte ogni 12 mesi continuava a costare 38 milioni. Tutti soldi che se ne andavano in spese personali, vitalizi e pensioni.

Questo dato, otto anni dopo, fu una delle cause che portò alla rivoluzione e alla successiva decapitazione del re e di sua moglie Maria Antonietta.

Oggi, pur essendo felicemente certi che le teste dei nostri parlamentari (sempre che qualcuno sia in grado di trovarle) resteranno in eterno attaccate ai loro pregevoli colli, è impossibile fare a meno di sottolineare il parallelismo tra quella lontana epoca storica transalpina e quanto sta accadendo in Italia.

Mentre il premier, Silvio Berlusconi, come Luigi XVI, resta asserragliato nelle sue regge e, secondo i giornali, dorme di giorno, si consulta con i fedelissimi e organizza a sera “cene eleganti”, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, prima (il 24 giugno) tenta timidamente di dare un taglio ai costi della politica. Poi, quando gli fanno capire che non è aria, rimanda tutto al 2013. E alla fine, ringraziando apertamente la gentile collaborazione delle opposizioni, far approvare in tempo record una manovra che forse servirà per allontanare per qualche giorno il Paese dal naufragio delle borse, ma che certamente non eviterà il crescere dell’ira degli italiani, fino a livelli di guardia.

Un osservatore distratto potrebbe chiedersi il perché di questa follia. Normalmente in democrazia quando una classe dirigente chiede ai cittadini di stringere la cinghia fa qualche gesto per dimostrare (magari per finta) di partecipare al sacrificio comune.

Negli Stati Uniti, per esempio, dove i 475 componenti dello staff della Casa Bianca guadagnano cifre risibili rispetto a quelli di Palazzo Chigi (gli stipendi più alti sono di circa 120mila euro, mentre quello del presidente non arriva a 300mila), Obama ha congelato i salari dei suoi collaboratori superiori ai 100mila dollari e ha annunciato la necessità di ridurre il suo. Ha fatto cioè una mossa che punta a ottenere il consenso degli elettori, in vista delle presidenziali del novembre 2012.

I nostri politici, invece, questa necessità oggi non la sentono. Anzi non la hanno. Per loro le priorità sono altre. Berlusconi, per esempio, ormai vuole solo che il suo governo arrivi al 2013 perché spera di poter continuare a preservare la sua roba e a condizionare i suoi processi. I ministri puntano poi a stargli al fianco il più a lungo possibile perchè, in caso di elezioni anticipate ben difficilmente si ritroveranno (subito) al potere. Per loro il problema non è più avere il consenso degli elettori, ma di conservare quello dei loro parlamentari. Sono i peones alla Scilipoti, infatti, che sorreggono l’esecutivo. Quindi il primo obbiettivo è non farli arrabbiare.

Anche per questo non si interviene sui costi della politica. E non lo si fa a nessun livello, visto che nel nostro Paese, in maniera assolutamente bipartisan, ci sono un milione e 300mila persone che vivono, direttamente o indirettamente, di politica. Amici, parenti, ex camerati ed ex compagni. Gente che grazie all’attività di partito (magari condotta nell’onestà e buona fede più assolute) ha pianificato la propria esistenza presente, passata e futura. Gente che se fosse costretta ad andare a casa non saprebbe proprio cosa fare. Vi dice niente, a questo proposito, l’astensione di parte dell’opposizione sull’abolizione (mancata) delle province?

È ovvio e giusto che la democrazia abbia un prezzo. Ma non c’è nulla né di sensato, né di giusto in una gigantesca e inefficiente macchina che, secondo molte analisi, costa (a partire dalla Presidenza del consiglio, per arrivare all’ultima delle società private a capitale pubblico) circa 24 miliardi di euro. Possibile che non sia il modo di essere democratici spendendo quanto si spende in Gran Bretagna o in Francia?

Domanda retorica. Questa, con il suo Luigi XVI in testa, è la vera aristocrazia dei nostri tempi. Un’aristocrazia che in questi giorni, con gli interventi draconiani della finanziaria, sta lottando per salvare il Paese. Ma che è anche in lotta per preservare se stessa.

Ce la farà a sopravvivere? Noi pensiamo di no. Ma, paradossalmente, diciamo purtroppo. Perché, seppure all’orizzonte non si scorgono sanguinose rivoluzioni di popolo (e questo è un bene), non bisogna essere Nostradamus per capire quanto resti alta la probabilità che la manovra finanziaria appena approvato dal senato si riveli durissima, ma insufficiente.

A non considerare credibile la nostra Casta, non sono più solo gli italiani. La finanza mondiale, i mercati, la stampa internazionale e i governi degli altri Stati, tutti hanno dei nostri eroi questa opinione. E le classi dirigenti del Belpaese sono ormai viste come un virus che mette a rischio la fragile stabilità dell’intera Europa. Arriveranno, insomma, altre sberle. Serviranno altri interventi. Altre tasse, altri tagli e, forse, persino una patrimoniale.

Solo allora, e non ieri come ha precipitosamente detto il presidente Napolitano, i tempi saranno maturi per il “vero miracolo”: la fine di questa sfortunata e martoriata seconda Repubblica. Ma saranno tempi duri. E, purtroppo, più per i cittadini che per loro.


mercoledì 6 luglio 2011

Un mondo a "rifiuti zero"


da www.terranauta.it
Gli inceneritori sono un grosso affare, si sa. Un business enorme che fa gola a molti, attira gli investimenti della criminalità organizzata – si veda il caso siciliano – e di imprenditori senza scrupoli. Ergo gli inceneritori si devono fare. Poco importa se emettono diossine e polveri sottili, contaminano i terreni circostanti, causano ovunque aumenti di tumori, linfomi e leucemie. In Italia, i prossimi due dovrebbero sorgere uno a Parma e l'altro nel sud di Milano.
C'è però un signore d'oltreoceano che da anni propone una soluzione alternativa ed è da poco tornato in Italia per un ciclo di conferenze. Si chiama Paul Connett ed è l'ideatore della strategia “rifiuti zero”.
Così raccontava la sua esperienza in una intervista andata in onda su Radio Popolare nel 2006: “21 anni fa hanno cercato di costruire un inceneritore nella nostra contea nel nord dello stato di New York vicino al confine con il Canada.”
“All'inizio credevo fosse una buona idea, pensavo: ci sbarazziamo di tutte quelle orrende discariche e produciamo energia dai rifiuti in una struttura che può essere monitorata. Poi leggendo ho scoperto che bruciando i rifiuti domestici si producono le sostanze più tossiche che l'uomo abbia mai prodotto e inoltre, ogni 3 tonnellate di spazzatura, resta una tonnellata di cenere molto tossica che da qualche parte andrà pur messa; quindi ho capito che l'inceneritore era la strada sbagliata.”
Da allora Connett, professore emerito di chimica ambientale all’Università St Lawrence di Canton, New York, si è messo all'opera assieme ad una equipe di cittadini e ricercatori, per sviluppare e mettere in pratica la teoria del “zero waste”, rifiuti zero. Si tratta di un metodo che mira a raggiungere il riciclaggio del 100 per cento dei rifiuti, ritirando dal commercio tutti quei prodotti che non sono riciclabili.
“È un metodo che ha come presupposto necessario la combinazione di tre livelli di responsabilità: quella della classe politica, che fa le leggi, quella della comunità, nella fase finale del processo, e quella industriale che invece avviene all'inizio del processo.”
È un metodo, soprattutto, che funziona. E non, come in molti pensano, solo nei piccoli centri e nei paesi. Negli Stati Uniti infatti è stato applicato con successo in alcune delle maggiori città. A San Francisco si è superata in breve tempo la soglia del 75 per cento di differenziazione dei rifiuti.
A San Diego si mira perfino al 90 per cento entro la fine dell'anno. Esperimenti simili sono stati fatti anche in Canada e Nuova Zelanda, mentre in Italia solo Capannori, un comune di quasi 50 mila abitanti in provincia di Lucca, ha adottato il metodo “rifiuti zero”.
È un sistema, infine, che conviene anche da un punto di vista economico, come illustra lo stesso Connett. “Certo, si può nascondere il problema come fanno in Italia, parlando di termovalorizzatori invece di inceneritori, ma il problema resta: se bruci qualcosa poi devi ripartire da zero nel processo produttivo, devi sempre spendere nuovi soldi per l'estrazione delle materie prime, per la produzione e così via; se invece ricicli e riutilizzi non devi incominciare da capo e risparmi il quadruplo di energia.”
Connett è da poco tornato in Italia, chiamato da coloro che si oppongono alla costruzione dei nuovi inceneritori. È stato a Lucca il 19 maggio, a Capannori il 20 – qui ha presieduto l’Osservatorio verso rifiuti zero del comune, ed ha partecipato alla prima riunione ufficiale del Centro Ricerca Rifiuti Zero –, a Pietrasanta il 21.
Il 22 ha partecipato alla manifestazione regionale di Montale. Il 24 si è recato a Verona, il 25 a Desio (MI), il 27 a Calcinaia (PI), il cui Comune sta aderendo ufficialmente alla strategia rifiuti zero. Infine, il 28 e il 29 ha concluso la sua tournée a Firenze presso lo stand “verso rifiuti zero” nell’ambito di Terra Futura.
Ma nonostante i ripetuti viaggi e gli sforzi evidenti, la filosofia dei rifiuti zero stenta a prendere piede dalle nostre parti. Lo scorso 27 aprile, ospite a Parma in una trasmissione televisiva, Connett si è preso perfino del “cretino” da Allodi, presidente di Enia, la ditta che dovrebbe costruire l'inceneritore. E buona parte della classe politica, fra cui lo stesso Ministro dell'ambiente, Stefania Prestigiacomo, si spertica in lodi per quelli che loro chiamano “termovalorizzatori”.
Pare, insomma, che due dei tre livelli indicati da Connett come necessari all'attuazione della sua strategia siano a questa piuttosto restii, per non dire contrari. Resta il terzo livello, i cittadini. Solo questi, impegnandosi per primi, potranno provare a fargli cambiare idea.

domenica 3 luglio 2011

BANDA IN FESTA

Banda in Festa